Ho letto con grande attenzione e, devo ammetterlo, con una certa soddisfazione, le motivazioni delle Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Roma per l!omicidio di Marco Vannini. Si tratta della sentenza che aveva derubricato, cioè “ridotto”, il reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo, condannando Antonio Ciontoli a 5 anni.
I giudici avevano anche confermato la condanna dei suoi familiari, i $gli Martina e Federico e la moglie Maria Pezzillo, a 3 anni per omicidio colposo. Non nascondo che mi aspettavo un impianto motivazionale esattamente come quello che ho trovato espresso nelle 42 pagine destinate, assai probabilmente, a modi$care il destino giudiziario di tutti i Ciontoli. I Supremi giudici hanno messo diversi paletti stringenti.
La sentenza ripercorre tutti i passaggi principali della vicenda con riferimento a ciò che avvenne in quei 110 minuti di ritardo nei soccorsi risultati poi fatali al povero Marco. Sul punto la Procura aveva già stabilito che proprio quei 110 minuti hanno avuto un ruolo decisivo nella causare la morte di Vannini. Ma un passaggio, tra i tanti, mi ha colpito particolarmente. Proprio la personalità, la storia di vita e le capacità professionali di Antonio Ciontoli, militare di carriera, depongono a favore della configurabilità del dolo eventuale.
Anche secondo me, poi, la motivazione della sentenza di Appello è illogica, perché già il solo ferimento di Marco avrebbe reso impossibile per Ciontoli evitare conseguenze sul piano professionale. Ma Ciontoli ha continuato fino all'arrivo all'ospedale a cercare di nascondere ciò che era accaduto. Ecco perché, a mio parere, non si può assolutamente ritenere che avesse escluso a priori la possibilità che Marco potesse morire.
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