Teresa è madre di tre figli e nel 2011 ha avuto l’ultimo: il padre lo ha riconosciuto solo dopo quattro anni. Un tribunale ha stabilito per l’affidamento condiviso, ma dopo che il piccolo aveva mostrato alcuni malumori e il padre non si sarebbe fatto più sentire, la donna ha chiesto l’affidamento esclusivo. Da lì è iniziato un iter giudiziario, culminato con l’allontanamento del piccolo che adesso vive in una comunità perché è stato ritenuto che la donna lo abbia plagiato, sia stata con lui manipolatrice e malevola: “Io non sono adeguata per un figlio, ma lo sono stata per gli altri due?”, domanda la donna a Fanpage.it.
“Sono morta il 5 ottobre”: con queste parole Teresa descrive cosa lei e il suo bimbo di undici anni sono stati costretti a vivere ultimamente. La sua è una storia simile a quelle che Fanpage.it sta raccontando nelle ultime settimane: madri che perdono l’affido per situazioni conflittuali con il padre che, nei decreti emessi dai Tribunali, si riferiscono alla sindrome da alienazione parentale e cioè all’idea che i problemi tra padri e figli siano dovuti ad atteggiamenti manipolatori da parte della madre.
Perché a Teresa le hanno tolto il bimbo
L’ultima ordinanza della Corte di Cassazione ha però stabilito che il richiamo alla sindrome non può più dirsi legittimo. Nonostante questo, molte madri hanno affidato a Fanpage.it la loro storia e raccontato come, negli ultimi mesi o settimane, i loro figli sono stati trasferiti in comunità. Teresa è tra loro: madre di tre figli, ha dovuto vedere portare via il più piccolo: “Io non sono adeguata per un figlio, ma lo sono stata per gli altri due?”, si chiede la donna.
Undici anni fa, Teresa rimane incinta: “Lo comunico all’altra parte e sempre a lui dico che terrò il bambino. Noi non avevamo una relazione da dover decidere insieme sul da farsi. Lui mi dice di abortire. Io non lo faccio”. Nel 2012, quando il piccolo ha solo un anno, il padre aggredisce la 52enne. La donna lo denuncia e lui viene condannato per lesioni.
Il piccolo riconosciuto dal padre dopo quattro anni
Tre anni dopo, l’uomo decide di riconoscere il piccolo. La 52enne non si oppone al riconoscimento e i due hanno un affido condiviso: “Dopo i primi incontri, mio figlio manifesta dei malumori. Dopodiché il padre sparisce, non si fa più vedere per diversi mesi”, racconta ancora a Fanpage.it. Quattro mesi dopo, Teresa decide di rivolgersi a un giudice per chiedere l’affido esclusivo: “C’è una perizia che si chiama Ctu, la quale stabilisce che – racconta ancora la donna a Fanpage.it – bisogna fare un percorso proprio perché non eravamo mai stati una coppia”.
Quattro mesi dopo, il padre si rivolge al giudice con un’istanza d’urgenza sostenendo di aver saltato due incontri con il figlio. Da lì inizia tutto l’iter giudiziario che si concluderà poi con il trasferimento del ragazzino in comunità: “La stessa Ctu, due anni prima ha detto che il bambino era idoneo e molto intelligente, adesso – spiega ancora Teresa – sostiene che è simbiotico e che non può esprimere tutte le sue qualità a causa mia. Deve essere allontanato: deve fare due anni di comunità e poi andrà a vivere con il padre”.
Il giorno in cui le è stato portato via il figlio
Un giorno le è arrivata una lettera di convocazione al Comune: “C’erano il sindaco, i servizi sociali e l’assistente sociale mi dicono che dobbiamo aspettare le forze dell’ordine. Arriva una macchina che si posteggia dietro la mia. Il bambino non scende dall’auto, mi chiedono di aprire la portiera, Io gliela apro. Salgano in tre”.
Da quel momento iniziano ore drammatiche: “Io dal vetro ogni tanto riesco a intravedere la faccia di mio figlio, lo sollevano, lui grida come un pazzo, lo caricano nell’altra auto e la portano via”. Teresa non avrà più sue notizie per un mese e mezzo: “L’appello dice che sono dannosa, malevola, che tengo mio figlio chiuso in casa senza fargli vedere gli amici, senza fargli fare sport”.
La 52enne è ricorsa in Cassazione chiedendo di poter avere nuovamente l’affido del figlio: “Hai troppo spazio, troppo tempo. Avevo una responsabilità, lavorare, crescere mio figlio, occuparmi di tantissime cose, ora devo lavorare e basta. Ieri, dopo nove mesi di comunità, il bambino mi ha detto: “voglio tornare a vivere in casa con te”. Dopo nove mesi io non posso averlo plagiato, non posso essere ancora malevole e manipolatrice”.