Stefano Fresi è un attore in costante crescita. Da Smetto quando voglio in poi è stato uno degli interpreti più scelti da registi e produttori. Da sempre aveva dichiarato di avere un sogno professionale: quello di recitare insieme a Giuseppe Battiston.
E non solo per una evidente somiglianza fisica. L’opportunità si è concretizzata grazie ad Antonio Padovan che li ha voluti nei panni di due fratelli ne Il grande passo che è stato presentato al Torino Film Festival e che ha fruttato ai due protagonisti il premio come migliori attori. Il grande passo è un film sul sogno, quello di Dario (Giuseppe Battiston) di andare sulla luna mentre Mario (Fresi) è molto più pragmatico; li accomuna un padre che li ha abbandonati, facendoli incontrare solo una volta. Ambientato nel Polesine, il film è una commedia surreale che deve molto alla cinematografia di Carlo Mazzacurati, cui Padovan non ha mai negato di ispirarsi.
Tra l’altro, il film è scritto da Marco Pettenello, che con Mazzacurati aveva lavorato spesso. Parlandoci del film, Stefano Fresi ha rimarcato che «Antonio Padovan ha saputo dare un gran respiro poetico alla storia. È un film surreale certo, ma è anche un inno e un invito a inseguire i propri sogni. Anche quelli più incredibili, nonostante la contrarietà di tutto e tutti. È anche un inno alla potenza di un amore familiare; i due fratelli alla fine si sostengono, anche se si sono visti solo una volta.
Prendono consapevolezza di non essere soli». Il grande passo, infatti, è anche un film sulla famiglia. «I due fratelli hanno un’idea completamente opposta del padre che li ha abbandonati. Dario ne ha un’immagine molto poetica; si ricorda di quando insieme guardarono in Tv lo sbarco sulla luna, da cui nacque il suo sogno. Il mio personaggio, Mario, ne ha una visione meno prosaica e molto più realista che cerca di far capire al fratello. Quello che conta è il legame creatosi tra questi due uomini che hanno qualcosa di profondo in comune: il padre assente».
Com’è stato lavorare con Giuseppe Battiston? «Non è un segreto, lo ho dichiarato più volte che uno dei mei sogni professionali era quello di lavorare un giorno con Giuseppe. E non per la somiglianza fisica che ci accomuna ma perché lo stimo molto come attore. Vedendolo tutti i giorni sul set, ho potuto apprezzare come ha lavorato e approcciato il suo personaggio e come sia arrivato a rendere il carattere di Dario. Ecco, aver accompagnato questo percorso è stato molto arricchente per me».
Che personaggio è il tuo Mario? «È una persona tranquilla e concreta, con il suo lavoro in ferramenta. Ha ben presente che persona sia stato il padre, per colpa del quale non ha potuto coronare la passione per la corsa. Alla fine Mario – che è un buono ed è sempre propositivo – essendo consapevole di quanto abbia sofferto per essere stato privato del suo sogno, entra subito in sintonia con il fratello e fa di tutto perché, almeno lui, riesca a coronarlo. Non sarà certo Mario a impedirglielo».
Ti sei ambientato bene nel Polesine dove avete girato? «Non lo avevo mai visitato, ed è stato un bene per il film perché l’impatto un po’ straniante è servito al mio personaggio spaesato. Mario non riesce subito a capire il posto e le persone che ci abitano e il fatto che il Polesine, per me, fosse ignoto, è stato di aiuto. Poi ha offerto alla produzione una serie di location lunari che sono state l’ideale. Il Polesine è comunque un posto incredibile, con paesaggi unici. Sono rimasto affascinato da queste lunghe strade che si perdono nella campagna».
Cosa ha significato essere premiato al Torino Film Festival insieme a Battiston? «È stato un riconoscimento importante in uno dei festival più prestigiosi. Ma quello che ci ha fatto molto piacere è stata la reazione degli spettatori; abbiamo ricevuto 11 minuti di applausi. Il mio auspicio è che questo film arrivi alla gente e che possa piacere a un pubblico ampio. Ha ragione Giuseppe, Il grande passo è un film che può conquistare anche i più piccoli. Parla di un uomo che vuole andare sulla luna: quanti bambini hanno il sogno di fare l’astronauta?».
Che tipo di regista è Antonio Padovan? «È prima di tutto un uomo intelligente. È arrivato sul set con le idee chiare su cosa volesse da noi. Però è stato anche molto aperto e disponibile all’ascolto. Ha preso in considerazione i suggerimenti che ognuno di noi gli ha sottoposto sul film, sulla sceneggiatura o sul proprio personaggio. Non è stato rigido, e questo è un merito. Ha saputo creare una squadra. Non ha voluto realizzare la classica commedia ma un film con più atmosfere». Tra cinema, Tv e teatro sei sempre molto impegnato. A quali progetti stai lavorando, ora? «Sto per andare sul set del nuovo film di Edoardo Leo, Lasciarsi un giorno a Roma. Poi sarò a teatro con lo spettacolo Io non sono solo».