Flavio Insinna torna in Don Matteo: 'Non ho figli e mi dedico agli altri'

Ero un ragazzo, adesso ho i capelli bianchi. Don Matteo ha cambiato la mia carriera e la mia vita». Così Flavio Insinna parla del suo ritorno, dopo sedici anni, nel ruolo del carabiniere Flavio Anceschi. In onda dal 2000, la fiction di Raiuno che ha per protagonista Terence Hill nei panni del sacerdote più amato d’Italia, non accenna a diminuire la sua presa sul pubblico. Dal 31 marzo andrà in onda la tredicesima stagione, che si appresta però a un cambiamento epocale.

Don Matteo celebra infatti i quarant’anni di sacerdozio e si prepara ad andare in pensione: al suo posto arriverà un nuovo parroco, don Massimo (Raoul Bova). Proprio in occasione dei festeggiamenti giungerà a Spoleto Anceschi, che avevamo lasciato capitano nel 2006 e nel frattempo è diventato colonnello. Non solo: all’epoca si era appena sposato, ora è divorziato e ha una figlia. Un ritorno attesissimo. «Forse il mondo ha altro a cui pensare, però sì, è bello tornare. Sono uscito alla fine della quinta serie, così tanto tempo fa che non mi ricordo che anno era». Ti sei emozionato? «Molto, ho girato la prima scena di Don Matteo nel 1998.

Da allora sono successe tante cose belle alla mia carriera (conduce L’Eredità ed è giudice de Il cantante mascherato, ndr). Questa fiction è nel mio cuore prima che nel mio curriculum: le due notti precedenti al ritorno sul set non ho dormito. Il primo giorno in scena ero distrutto. Mi chiedevo: ma sarò in grado?». Nonostante il successo e l’esperienza, ti senti insicuro? «Temevo di risultare stonato. Pensa a Ulisse: quando ritorna a casa lo riconosce solo il cane, Argo.

Non sono andato a cuor leggero: felice, ma preoccupato che fosse scaduto il tempo. Sono appassionato del mio mestiere, ma non mi sento mai arrivato. Ogni partenza è come il primo giorno e ringrazio che sia così. Non mi piacerebbe essere sicuro di me». Come ti senti a rivedere le foto della prima puntata di Don Matteo, in onda a gennaio 2000? «Provo tenerezza, sembro un bambino. Da allora è rimasta l’amicizia preziosissima con alcuni compagni di set: Nino Frassica, Pietro Pulcini, Francesco Scali. Fino a quel momento il lavoro era un gioco nel quale non avevo responsabilità, tanto c’era Terence Hill! Poi piano piano sono dovuto crescere».

Tra poco andrai in onda anche con un film per la Tv di cui sei protagonista assoluto. Ce ne parli? «A Muso duro è la storia di Antonio Maglio, il medico che ha inventato le Paralimpiadi. Mio padre per un periodo ha lavorato nella sua stessa clinica, la Santa Lucia di Roma, che si occupa di riabilitazione motoria. Da ragazzo sognavo di fare il medico come mio padre, ma anche il carabiniere: il mio bellissimo lavoro mi ha dato l’opportunità di provare entrambe le esperienze.

Tutto fa parte di un viaggio straordinario, per il quale ringrazio sempre, non do niente per scontato». In scena hai una figlia, ti piacerebbe un giorno diventare papà? «Ormai ho 57 anni, non è più il tempo. Piuttosto è il caso di dare una mano nel mondo». Sei sempre impegnato nel sociale? «Se non costruiamo un mondo nuovo, non basterà mai l’aiuto che diamo. Ero molto amico di Gino Strada, che diceva una cosa definitiva: “Se l’uomo non butterà fuori la guerra dalla storia, la guerra butterà fuori l’uomo”. Finiremo». Sei pessimista? «No, sono realista. Nel 2022 aumentiamo le spese per gli armamenti invece che per scuole, ospedali, case.

I più deboli chi li considera? Grazie al cielo c’è un mondo di persone che si spende per gli altri, ma non basta. Dobbiamo chiedere a gran voce che la politica e la diplomazia costruiscano la pace, perché non c’è solo la guerra in Ucraina, ce ne sono centinaia ovunque. Qualche anno fa il Papa disse che c’era la Terza guerra mondiale a pezzetti, non l’ha ascoltato nessuno». Cosa possiamo fare? «Guardare alle cause e non solo agli effetti.

Un bel giorno ti dicono: il mare è inquinato, il clima cambia, gli animali si estinguono e noi restiamo a bocca aperta; invece dobbiamo prevenire. Per questo l’altro giorno ero in Piazza San Giovanni a manifestare per la pace con la mia compagna (Adriana Riccio, ex concorrente de L’Eredità, ndr). Perché la felicità, quella vera, è condivisa: gli ultimi sono tali solo se tu corri avanti. Io però sono testardo e farò il contrario, morirò nel mio piccolo continuando a darmi da fare per gli altri. Ho avuto tanto dalla vita e le possibilità economiche mi danno l’opportunità di fare». Anche un programma come L’Eredità è un sollievo per tanti. «Cerco di dare un senso al mio lavoro, regalare un’oretta di sorrisi. Tante persone sole apprezzano la compagnia. Mi scrivono pure i bambini. Faccio lo scemo ma con il cuore, e il pubblico lo sente».