A 39 anni dalla sua scomparsa il caso di Emanuela Orlandi non è stato ancora risolto. Il fratello Pietro, che da anni si batte per la ricerca della verità su quanto accaduto alla sorella, ha lanciato un nuovo appello al Vaticano affinché venga ascoltato insieme al suo avvocato per confrontarsi su nuovi elementi da loro raccolti e che potrebbero rappresentare un punto di svolta nel caso.
“Siamo ad un punto di svolta. Io e l’avvocato abbiamo elementi in mano che possono aiutarci con certezza a capire che cosa è successo – le parole di Pietro Orlandi – però ci serve la collaborazione di persone anche che lavorano in Vaticano, che sono a conoscenza di questo fatto, che si liberino la coscienza e che abbiamo il coraggio di non rimanere nell’anonimato. Abbiamo bisogno di loro”. Come ogni anno, il 22 giugno, giorno della scomparsa di Emanuela, il fratello organizza un sit-in per commemorare Emanuela e far sì che i riflettori sulla vicenda non si spengano mai.
Nuovi elementi dunque come alcuni messaggi whatsapp che si sarebbero scambiati due persone vicine a Papa Francesco nei quali si parla di “movimenti legati a questa vicenda, di documentazioni su Emanuela, e dicono che ne era al corrente Papa Francesco e il cardinal Abril, che all’epoca era il presidente della commissione cardinalizia dello Ior”. Elementi però che il Vaticano non vuole valutare nonostante l’invito che il Pontefice avrebbe rivolto proprio a Pietro Orlandi a denunciare il tutto.
Il cardinale è stato più volte contattato dal fratello di Emanuela, ma senza successo. “Gli ho scritto un sacco di messaggi, ma non risponde”, dice. E aggiunge: “Questa volta potrebbe essere quella giusta. Io la speranza la ho da sempre, ogni volta l’illusione si è trasformata in disillusione ma io non demordo, perché non c’è nessun potere che possa fermare la verità, anche se resta una sola persona a volerla e a pretenderla. E siccome in questo momento qui ce ne sono tante di persone, questo mi fa un immenso piacere e mi da speranza perché moltissime di queste nemmeno la conoscevano Emanuela. E dopo 39 anni, sono tutte qua”.
“Un giorno la Chiesa dovrà chiedere scusa, nessun potere, per quanto forte, potrà mai fermare la verità, anche se resterà solo una persona a difenderla”, ha poi detto intervenendo al sit in a Roma a 39 anni dal rapimento della sorella. “Non ho le prove di cosa hanno fatto, ma chi continua a nascondere le cose per 39 anni è complice, così come quella manovalanza che quel giorno ha preso Emanuela – ha aggiunto -. Sta a loro fare un passo avanti, noi più che dire ‘abbiamo prove, convocateci’ che possiamo fare. Ma non ci convocano”.
“Sono convinto che Emanuela è stata usata come un oggetto di ricatto, che nessuno deve conoscere, un ricatto che è ancora in atto nei confronti di qualcuno. Non possono permettersi che esca la verità perché crollerebbe tutto – ha concluso Pietro Orlandi -. Ma gli ha detto male, perché siamo ancora qui e non mi sposterò”.