Alessandra Mastronardi è Carla Fracci, dove e quando vedere il film

Si chiama Carla il primo film che racconta la vita della più iconica e straordinaria danzatrice italiana di tutti i tempi, l’indimenticabile Carla Fracci, scomparsa lo scorso maggio. Basato sull’autobiografia Passo dopo passo-La mia storia (a cura di Enrico Rotelli, pubblicata da Mondadori) diretto da Emanuele Imbucci realizzato con la consulenza della stessa Fracci, del marito Beppe Menegatti e della storica collaboratrice Luisa Graziadei, il film Tv ha come protagonista Alessandra Mastronardi.

L’attrice napoletanamette in scena l’emozionante percorso di vita della incredibile étoile muovendosi in una cornice unica, quella del Teatro alla Scala che apre per la prima volta le sue porte ad una produzione fiction mostrando i suoi storici spazi, quelli che hanno raccolto il sogno di milioni di danzatrici, i sacrifici la determinazione di tante e prima tra tutte, quella che nel 1958 ne sarebbe divenuta prima ballerina. In onda il 5 dicembre su Raiuno, vedrà nel cast anche Claudia Coli, nel ruolo della Signorina De Calboli, un’insegnante di danza alla vecchia maniera.

Siamo nel 1955 e per lei, che proviene da una famiglia aristocratica, è inconcepibile che la figlia di un tranviere venga ammessa nel corpo di ballo della Scala e sarà anche difficile accettare che sia proprio Carla a essere scelta da Luchino Visconti come la protagonista, per il “passo d’Addio” delle Allieve, nello Spettro della Rosa. L’attrice, versatile e tenace, ha tanto in comune con la danzatrice e la sua determinazione. Come nasce la sua passione per la recitazione? «Me lo sono domandato spesso anche io.

Credo abbia a che fare con qualcosa di autonomo non provenendo da famiglia di artisti, è una visione che ho avuto in età post-adolescenziale andando a teatro e al cinema. Ha a che fare con la compassione, con il percepire l’altro, con l’empatia unita al gioco. La recitazione potrei dire che è un luogo che mi ha fatto stare bene subito, ed è più di una psicoterapia, un percorso per la conoscenza degli altri e di sé stessi. Ho sempre lavorato senza fare distinzione tra teatro, cinema, televisione, come accade all’estero. Non succede mai che chiedano se sei un’attrice di teatro o di cinema per esempio: non esiste questa proprio chiusura».

Come racconterebbe il suo personaggio all’interno del film? «È un classico personaggio di rottura all’interno della storia, uno che spezza la narrazione e, nella sua antipatia, divertentissimo. Giunge a metà film nel momento in cui la giovanissima Carla sta per diplomarsi alla Scala di Milano. Per lei, insegnante vecchio stampo, era del tutto inconcepibile che la figlia di un tranviere fosse scelta come prima ballerina del passo d’addio, cosa che avvenne per l’arrivo di Visconti che scelse la Fracci.

Devo dire che è stato divertente perché diverte fare i cattivi, in un’atmosfera poi quasi fiabesca, che è il bello delle fiction. Direi che c’è qualcosa che riguarda la raccomandazione, il rientrare in un certo tipo di giro in cui puoi risultare un cane sciolto. Carla lo è, ma alla fine arriva e rompe ogni schema. La cosa bella è che la sua storia riguarda tutti noi, chi è di Milano ma non solo, chi sentirà la tenacia dei tempi di una volta, la fatica, il sacrificio. Carla rappresenta tutto questo, il talento applicato a un grandissimo lavoro di disciplina, sforzo, tenacia». Ha qualcosa in comune con lei? «Non mi azzardo al confronto. Ma riconosco il lavoro, l’umiltà le radici che contano».

Ha ricordi particolari che le vengono in mente pensando alla Fracci? «Mi viene in mente la mia infanzia, la mia adolescenza vissuta a Milano prima di andare a Genova e poi a Roma per diversi anni. Sicuramente quello che ricordo è che pur non provenendo da una famiglia con tradizioni di lirica o teatro sentivamo tutti che la sua figura aveva un significato. La si andava a vedere con naturalezza, non c’erano élite, ci si sentiva parte di un momento meraviglioso di un rito che racchiudeva tanta semplicità e forse è cambiato questo nel tempo. Tutti seguivano Carla Fracci senza distinzione di ceto sociale, legati al pensiero di quella giovane ragazza che si era fatta da sola.

Credo che dal film si possa trarre un messaggio importante soprattutto per i giovani, che riguarda l’etica del lavoro, l’impegno, un ritorno a valori quasi perduti». A proposito di giovani: lei lavora molto con loro attraverso l’insegnamento. Che cosa rappresenta per lei questo aspetto della sua carriera? «Insegnamento e recitazione vanno parallelamente nel mio percorso. Non potrei insegnare se non recitassi, non troverei nessuna carica. Riesco a insegnare facendo l’attrice, alimentandomi per passare le mie esperienze ai ragazzi, e anche i miei limiti, le mie difficoltà, aiutandoli così a superare i loro blocchi. C’è tra loro un grande disincanto, diverso dalla mia generazione forse molto illusa. Sono adulti tanto presto, con tutti i pro e i contro».

Quali sono i suoi prossimi impegni professionali? «Sarà presto in uscita, ancora per Rai Fiction, un docufilm di Mimmo Calopresti da titolo Romanzo Radicale, basato sulla storia diMarco Pannella, interpretato da Andrea Bosca, in cui io sarò Luciana Castellina. Sto lavorando poi a una drammaturgia teatrale su Margherita Sarfatti ancora poco conosciuta in Italia. Era la più grande gallerista ed esperta di storia dell’arte del ‘900. Diresse anche la Biennale di Venezia, ma è ricordata solo per essere stata l’amante di Mussolini. Trovo importante ricordare queste grandi donne che hanno segnato la storia in un modo o nell’altro e che, essendo state accanto a uomini sbagliati, sono state dimenticate o ricordate per altro».